Spa italiane, i cda sotto esame: più donne, ma pochi indipendenti
di Walter Galbiati
La Repubblica
Martedì 11 dicembre 2018
Non sono più gli anni in cui i consigli di amministrazione erano pieni di parenti e amici, perché sta pian piano maturando
l'idea che nella sala dei bottoni delle aziende debbano sedersi le persone giuste. L'attenzione alla composizione del board
è cresciuta e la tendenza è sicuramente positiva, ma nella fotografia delle prime 100 società per capitalizzazione quotate
in Italia scattata da Spencer Stuart, leader internazionale nella ricerca di manager e consulenza in risorse umane, emerge
ancora qualche ombra, soprattutto nel confronto internazionale.
«Ormai da alcuni anni sosteniamo che la sfida più importante per le aziende è la composizione del cda poiché questa ha
effetto immediato sull'efficacia complessiva del sistema di governo dell'impresa», spiega Chiara Lupo, consulente Board
Advisory practice Emea di Spencer Stuart. A spingere verso il cambiamento sono state le nuove normative introdotte in ambito
bancario, che tuttavia hanno iniziato a diffondersi come "buone pratiche" da seguire anche negli altri settori.
«È diventato sempre più importante che i consiglieri siano preparati, abbiano competenze e strumenti, che possano dedicare
tempo e contribuire attivamente, portando contenuti ed esperienze diverse», sostiene Lupo, spiegando come la diversità non
sia solo di genere, ma legata anche alla varietà di esperienze, alla provenienza geografica, alla conoscenza di altri mercati
e alla seniority anagrafica. Come negli anni sono cresciute le donne dovrebbero crescere anche gli altri fattori di diversità
all'interno dei consigli: grazie alla legge 120 del 2011, le donne sono passate dal 5% delle cariche ricoperte nel 2010 al
32,3% del 2017, anche se solo il 9% di loro ha incarichi esecutivi e poche (38%) hanno un background manageriale, perché
vantano soprattutto esperienza come professioniste o accademiche (44%).
I mal di pancia emersi dalla ricerca riguardano i consiglieri indipendenti, i troppi incarichi dei membri del board, la poca
internazionalizzazione e l'età. In molti Paesi, la presenza degli indipendenti supera addirittura il 70%. L'Italia purtroppo
si attesta al 50%, collocandosi tra le ultime posizioni al pari di Belgio e Spagna, anche se non arriva ai livelli della
Russia dove in media solo 3,5 consiglieri su dieci sono indipendenti. Ben il 38% delle società analizzate non ha nemmeno un
consigliere eletto dalle minoranze, contro il 46% dell'anno precedente. Per di più in Italia gli indipendenti percepiscono
una retribuzione non adeguata al loro ruolo perché solo il 30% di loro, pur partecipando ad assemblee e riunioni, arriva a
percepire oltre i 100mila euro. Altro male italiano è la cattiva abitudine dei consiglieri ad aver più incarichi, in media
3,2, con picchi dei presidenti che arrivano a 3,6 incarichi: moltissimi se si pensa che in Spagna non si va oltre 1,1
incarichi (1,3 in Francia, 2 in Svizzera, 2,1 negli Usa e 2,2 nel Regno Unito). Tra i membri dei consigli di amministrazione
poi sono pochi gli stranieri. Se si escludono gli Usa (8,2%), da noi solo un consigliere su 10 (il 10,1%) non è italiano.
Infine manca un limite di età alla nomina per le figure del presidente, dell'ad e dei consiglieri, anche se va detto che
l'età media degli amministratori delegati (57 anni) è in media con gli altri Paesi.
Secondo il Board Index 2018 di Spencer Stuart per migliorare la governance andrebbero introdotti processi strutturati di
scelta dei manager e dei consiglieri, come avviene quando è lo stesso cda uscente a dover indicare per statuto la lista dei
nuovi consiglieri in assemblea. «Tale previsione statutaria rappresenta la nuova frontiera della governance in Italia mentre
è una prassi consolidata a livello internazionale», sostiene Lupo. Servirebbe, però, introdurre, oltre al limite di età, ora
a 75 anni, anche il limite al numero dei mandati, la peer review, ovvero la valutazione di come si è lavorato tra colleghi
dello stesso consiglio, e il rinnovo parziale del cda, in modo che la sostituzione dei consiglieri non avvenga tutta in una
volta sola, ma scaglionata nel tempo. Le scelte strutturate possono anche ridurre la conflittualità in assemblea con gli
azionisti istituzionali, che partecipano sempre più e che - come avvenuto recentemente per Telecom Italia - utilizzano
sempre più la corporate governance per raggiungere i propri obiettivi di rendimento. Fondamentale poi per garantire la
continuità dell'impresa è il processo di successione, uno dei momenti cruciali per la vita di una azienda. Eppure ancora
oggi più di una società su due non prepara l'avvicendamento al vertice, nonostante i benefici che ne derivino siano molti.
«Un piano di successione ben strutturato – spiega Chiara Lupo - permette di valorizzare i manager che lavorano nelle aziende,
dando loro la possibilità di essere considerati nelle cosiddette tavole di successione». Sebbene oltre il 70% delle società
analizzate abbia un comitato nomine, solo la metà di loro ha come compito la predisposizione di un piano di successione e
anche quando è predisposto sembra più un adempimento formale che effettivo.
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in cui è stato redatto.
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