La punta di diamante dell'inganno bancario
di Monica Mandico
Il Roma
Giovedì 2 novembre 2017
Arrivano le sanzioni comminate per Banca Monte dei Paschi, Unicredit e Banco
Bpm. L'Antitust, dopo una serie di denunce e un'approfondita istruttoria, ha
multato banche, broker e società private, per 15,35 milioni di euro (2 a
Idb, 4 per Unicredit, 3,35 per Banco Bpm; 1 a Dpi, 3 per Banca Intesa, 2 a
Mps) ritenendo "gravemente ingannevoli e omissive" le condotte delle imprese
implicate nella vendita, in banca, per il tramite dello sportello, dei
diamanti, come prodotti di sicuro investimento e di facile rivendibilità.
Da anni, gli istituti di credito propinavano ai malcapitati risparmiatori,
investimenti in diamanti, venduti da due società: Intermarket Diamond
Business – IDB e Diamond Private Investment – DPI, attraverso gli istituti
di credito con i quali rispettivamente operavano: Unicredit e Banco BPM (per
IDB); Intesa Sanpaolo e Banca Monte dei Paschi di Siena (per DPI). Il
diamante veniva, virtualmente messo nelle tasche degli italiani, dagli
istituti di credito, che suggerivano l'investimento come bene rifugio,
assicurando ampia credibilità alle informazioni contenute nel materiale
promozionale delle due società, oggi incriminate, e inducendo, i vari
consumatori all'acquisto, senza effettuare ulteriori accertamenti,
sfruttando la fiducia del risparmiatore che nutriva verso lo stesso
funzionario di banca; l'operazione proposta poi otteneva ancor maggiore
credibilità agli occhi dei risparmiatori, perché il listino prezzi di questi
diamanti, venivano pubblicati periodicamente come "quotazioni" sul
Sole 24 Ore. Invero i diamanti venduti attraverso il circuito bancario da DPI
e IDB avevano un prezzo raddoppiato rispetto a quello indicato dal Rapaport.
Ma la cosa grave è che chi li aveva acquistati e voleva poi rivenderli sul
mercato rischiava, di perdere il suo investimento. Non gli rimaneva quindi
che un'opzione: rivendere il diamante attraverso la stessa società che
glielo aveva venduto. Ma con commissioni per il disinvestimento, molto
elevate: il 10 per cento più Iva con DPI e tra il 16 e il 7 per cento più
Iva con IDB.
Nel 2016, la trasmissione Report della RAI, aveva trasmesso in TV
l'inchiesta, ove emergeva la modalità in cui i funzionari di banca,
convincevano i clienti ad investire nella pietra preziosa, perché a loro
dire, il diamante avrebbe garantito un "rendimento sicuro nel tempo", ancor
più dell'oro. Le società Intermarket Diamond Business (Idb) e la Diamond
Private Investment (Dpi), fornivano dati non corretti e veritieri, relativi
al prezzo di vendita dei diamanti e all'andamento del mercato, presentato come
"stabile e in crescita". Difatti dalle indagini e dai documenti acquisiti
dall'Autorità è emrso che le quotazioni di mercato "erano i prezzi di
vendita liberamente determinati dai professionisti in misura ampiamente
superiore al costo di acquisto della pietra". In sostanza gli intermediari
prendevano a riferimento un determinato costo e lo innalzavano a loro
discrezione, senza rifarsi agli indici internazionali. La liquidabilità,
invece, era legata esclusivamente alla possibilità che "il professionista
trovasse altri consumatori all'interno del proprio circuito". L'Antitrust,
ha anche rilevato, da parte delle due imprese venditrici, la violazione dei
diritti dei consumatori nei contratti, in merito al diritto di recesso.
L'Agcm, unitamente al Nucleo Speciale Antitrust della Guardia di Finanza,
si è attivata conducendo indagini investigative, acquisendo informazioni
anche dalla Consob, l'Autorità dei mercati.
Dall'istruttoria è emerso che "i profili di scorrettezza riscontrati per
entrambe le società hanno riguardato le informazioni ingannevoli e omissive
diffuse attraverso il sito e il materiale promozionale dalle stesse
predisposto in merito: a) al prezzo di vendita dei diamanti, presentato come
quotazione di mercato, frutto di una rilevazione oggettiva pubblicata sui
principali giornali economici; b) all'andamento del mercato dei diamanti,
rappresentato in stabile e costante crescita; c) all'agevole liquidabilità e
rivendibilità dei diamanti alle quotazioni indicate e con una tempistica
certa; e d) alla qualifica dei professionisti come leader di mercato".
L'Antitrust così sintetizza: "Le quotazioni di mercato erano i prezzi di
vendita liberamente determinati dai professionisti in misura ampiamente
superiore al costo di acquisto della pietra e ai benchmark internazionali di
riferimento (Rapaport e IDEX); l'andamento delle quotazioni era l'andamento
del prezzo di vendita delle imprese annualmente e progressivamente aumentato
dai venditori; e le prospettive di liquidabilità e rivendibilità erano
unicamente legate alla possibilità che il professionista trovasse altri
consumatori all'interno del proprio circuito"; "L'Autorità", si legge nella
nota, "ha accertato che gli istituti di credito, principale canale di
vendita dei diamanti per entrambe le imprese, utilizzando il materiale
informativo predisposto da IDB e DPI, proponevano l'investimento a una
specifica fascia della propria clientela interessata all'acquisto dei
diamanti come un bene rifugio e a diversificare i propri investimenti".
Le società coinvolte, hanno replicato asserendo di aver agito sempre
nell'interesse dei clienti e del mercato dei diamanti, e di aver incaricato
i loro legali di impugnare il provvedimento al Tar. Secondo l'azienda,
infatti, la pronuncia dell'Autorità presenta "gravi errori sia
nell'accertamento dei fatti, sia in linea di diritto".
Nota: il contenuto del documento deve essere interpretato in relazione al periodo
in cui è stato redatto.
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