Il virus della crisi d'impresa
di Marino Longoni
Italia Oggi
Lunedì 2 marzo 2020
La crisi economica indotta o amplificata dall'emergenza coronavirus e dalle misure restrittive prese per frenarne l'avanzata
sarà un ottimo banco di prova per la recente riforma della crisi d'impresa. Non c'è dubbio, infatti, che il rallentamento
dell'attività produttiva e la riduzione delle vendite dovute sia alla gestione dell'emergenza sia alle difficoltà produttive
cinesi stiano creando serie difficoltà a centinaia di migliaia di imprese e partite Iva (tanto per fare un esempio: il
settore del turismo ha visto ridursi il fatturato del 60%). E non tutte saranno in grado di assorbire il colpo: chi già
arrancava per restare sul mercato rischia ora di scivolare in condizioni di marginalità dove diventerà impossibile far
fronte serenamente agli impegni nei confronti di fornitori, lavoratori, consulenti, fisco, Inps ecc.
In tutti questi casi l'imprenditore, gli organi di controllo, o i creditori, dovranno attivare la procedura di allerta, cioè
un meccanismo di risoluzione della crisi gestito da apposite commissioni di superesperti che avrà, come primo immediato
effetto, quello di scatenare il panico tra i creditori, i fornitori, le banche. I quali immediatamente si irrigidiranno e
non saranno più disponibili a fornire altra fiducia al malcapitato, anzi si impegneranno per recuperare il prima possibile i
propri crediti. I geni del diritto che hanno studiato questa riforma non se ne sono resi conto, ma la procedura di allerta
sarà, per la gran parte delle imprese, l'inizio della fine. Sarà la tromba che, sul campo di battaglia, annuncia la ritirata.
Altro che anticipazione dell'emersione dello stato di crisi.
Ma c'è di peggio. Per le società a responsabilità limitata l'articolo 378 della riforma prevede infatti che «gli
amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione
dell'integrità del patrimonio sociale» (una norma simile era prevista finora, tra le società a responsabilità limitata,
solo per le spa). Il primo effetto tangibile di questa norma è la fuga dai consigli di amministrazione di professionisti che
non hanno alcuna intenzione di mettere a rischio il proprio patrimonio personale a causa di eventi, come il coronavirus, del
tutto imprevedibili. Tra gli obblighi ineludibili degli amministratori c'è infatti, dopo la riforma, quello di vigilare
sulla conservazione dell'integrità del patrimonio aziendale e sulla capacità dell'azienda di far fronte ai propri impegni.
Amministratori e organi di controllo dovranno quindi munirsi di appositi strumenti di analisi in grado di monitorare la
solvibilità dell'azienda. In caso di default saranno costretti a difendersi dimostrando di aver adempiuto con diligenza a
tutti i loro doveri di vigilanza: prova diabolica, perché il default sta lì a dimostrare l'esatto contrario. Quindi il
creditore che non riuscirà a essere pagato adeguatamente potrà chiedere il sequestro preventivo dei loro beni: fosse pure un
castello ereditato dal bisnonno e che nulla ha a che fare con la gestione dell'azienda. Il manager e il professionista
rischiano di perdere tutto.
Non aver previsto l'arrivo del coronavirus e non avervi saputo porre rimedio potrebbe trasformarsi in una colpa
imperdonabile, al pari di una truffa, con effetti devastanti, in grado di gettare sul lastrico anche professionisti di
ottimo livello che non hanno fatto altro che lavorare per il bene dell'azienda.
Se il coronavirus è stato un evento assolutamente imprevedibile, è facile però immaginare che manderà in crisi migliaia e
migliaia di piccole e medie imprese, a causa delle difficoltà nelle relazioni commerciali con la Cina, della sospensione
prolungata dell'attività, del mutamento delle condizioni di mercato o altro. I meccanismi di allerta e di responsabilità
illimitata degli amministratori introdotti dalla riforma della crisi d'impresa darà loro il colpo di grazia.
Nota: il contenuto del documento deve essere interpretato in relazione al periodo
in cui è stato redatto.
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