Il codice della crisi: un rinvio o un addio?
di Luciano Panzani (già presidente della Corte d'Appello di Roma) e Marco Arato (professore ordinario di Diritto commerciale nell'Università di Genova)
Ottobre 2020
Pubblicato sul sito blog.ilcaso.it in data 5 ottobre 2020.
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1. Come tutti sanno, una delle prime misure adottate per far fronte
all'emergenza Covid è stata, con generale consenso, il rinvio dell'entrata
in vigore del codice della crisi e dell'insolvenza. Il nuovo codice ha avuto
una lunga gestazione tra la legge delega del 2017, che ha fatto seguito ai
lavori della Commissione Rordorf, e il decreto delegato 12 gennaio 2019, n.
14, che a sua volta prevedeva una vacatio legis di ben 18 mesi. E' poi stato
rinviato di un anno, sino al settembre 2021, nella convinzione, chiaramente
espressa dal legislatore, che la nuova disciplina dell'allerta fosse
incompatibile con la generale situazione di crisi di molte imprese causata
dalla pandemia. E del resto, se il legislatore giungeva a bloccare le
istanze di fallimento, anche quelle presentate dallo stesso debitore
insolvente, e autorizzava la proroga delle procedure di concordato
preventivo in corso al fine di emendare o sostituire il piano di
ristrutturazione già proposto ai creditori, sarebbe stato del tutto illogico
obbligare l'imprenditore in difficoltà ad adottare tempestive misure per far
fronte ad una crisi che era generale ed incontrollabile perché causata dalla
pandemia.
A dire il vero questa soluzione non è stata adottata in tutti i Paesi. Giova
infatti ricordare che la Spagna ha scelto la soluzione opposta, ritenendo
che l'entrata in vigore della nuova Ley concursal(1),
contribuisse a migliorare la cassetta degli attrezzi con cui far fronte alla nuova crisi.
Recentemente sulle colonne di un quotidiano(2)
è stato riferito l'allarme del capo dell'Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia,
Mauro Vitiello che ha avvisato l'uditorio in occasione di un convegno a Bergamo
che il nuovo codice rischia un rinvio sine die perché, "sbagliando" verrebbe
visto dalle opposizioni e da parte della maggioranza come un complesso di
norme ostili al tessuto produttivo. L'annuncio, che non pare aver avuto
smentite, non stupisce perché l'iter dell'allerta è già stato in passato
piuttosto accidentato e perché oggi effettivamente il nuovo istituto che il
codice introduce pare in contraddizione con la situazione di crisi
generalizzata che riguarda, secondo molti commentatori, circa un terzo delle
imprese italiane. Del resto l'istituto dell'allerta fu proposto per la prima
volta in Italia in occasione dei lavori della Commissione Trevisanato
all'inizio degli anni Duemila. Già allora la proposta fu sepolta a fronte
della preoccupazione che uno strumento destinato ad individuare
tempestivamente le imprese in difficoltà, lungi dal contribuire al loro
risanamento ed a bandire forme anomale di finanziamento rappresentate
dall'omesso pagamento delle imposte e dei contributi, facesse per così dire
saltare il banco. Perché, come si sa, molte, troppe imprese in Italia sono
sottocapitalizzate e in perenne difficoltà. Confindustria si è
successivamente convinta che l'allerta potesse giocare un ruolo utile per
risolvere situazioni di difficoltà strutturale del mondo imprenditoriale
italiano, ma questa convinzione, oggi abbandonata, non è mai stata recepita
da una parte significativa del mondo imprenditoriale.
Non è qui il caso di riassumere le obiezioni che le scelte in concreto
adottate dal legislatore, che coloro che scrivono come componenti della
Commissione Rordorf hanno almeno in parte condiviso, hanno sollevato. Ci si
può limitare ad osservare che il codice ha riunito in un'unica previsione
situazioni di difficoltà che potevano sfociare nell'arco di sei mesi in una
condizione di illiquidità e situazioni di vera e propria insolvenza, come
quelle di chi aveva omesso il versamento di imposte e contributi per importi
ingenti per un periodo di tempo apprezzabile. E se le prime consentivano di
immaginare un iter virtuoso attraverso un'idonea e tempestiva
ristrutturazione, le seconde facevano pensare al procedimento di
composizione assistita, come alla prima tappa di un iter destinato a
concludersi con l'apertura di una procedura di concordato preventivo per gli
imprenditori più accorti o altrimenti con l'apertura della liquidazione
giudiziale su istanza dei creditori ovvero del pubblico ministero.
E per altro verso era alto il rischio, al di là delle ottime intenzioni e
della buona volontà dei gestori del sistema delle Camere di commercio, che
il passaggio davanti agli OCRI potesse trasformarsi in un iter
amministrativo-burocratico privo di concreta efficacia per la risoluzione
della crisi d'impresa.
Tutto ciò oggi però ha scarsa importanza, almeno nel breve periodo. La
domanda che infatti intendiamo porci è se, a prescindere dalla disciplina
dell'allerta, il codice della crisi meriti di essere abbandonato alle
ortiche o se invece esso non costituisca comunque un serio ammodernamento
della disciplina concorsuale italiana e come tale non debba essere fatto
entrare immediatamente in vigore.
2. I punti di forza del codice sono certamente costituiti anzitutto dalla
realizzazione di una riforma organica delle procedure concorsuali, con la
previsione di principi generali comuni a tutte le procedure, principi che
rappresentano una novità significativa, come l'obbligo di buona fede delle
parti durante le trattative, l'obbligo di riservatezza sulle condizioni
dell'impresa di cui si venga a conoscenza in occasione delle trattative,
l'adozione di assetti organizzativi adeguati a rilevare tempestivamente il
delinearsi di una situazione di crisi (che non ha nulla a che fare con
l'allerta così com'è stata congegnata nel complesso meccanismo dell'allerta
interna ed esterna). La disciplina della liquidazione giudiziale non è stata
oggetto di una revisione particolarmente significativa, anche se diverse
norme sono state snellite con l'introduzione di soluzioni tratte dal
processo telematico. Non si è avuto il coraggio di affidare al curatore la
redazione dello stato passivo, così come avviene da sempre nella
liquidazione coatta amministrativa, lasciando al giudice il solo compito di
provvedere sulle impugnazioni. Non si è voluto proseguire sulla strada,
imboccata dalla riforma Vietti nel 2005-2006, di semplificazione della
disciplina della liquidazione dell'attivo, attuando invece una sorta di
controriforma e rafforzando i poteri del giudice delegato.
Il concordato preventivo è stato irrigidito. Se appare ragionevole la
scelta, pur criticata, di limitare il concordato liquidatorio ai soli casi
in cui vi è apporto di finanza ulteriore, le soluzioni relative al
concordato in continuità hanno ingessato la procedura su un concetto di
prevalenza, nel caso di proposte che contengano anche attività liquidatorie,
che vanno ben oltre le ipotesi dell'abuso o della frode in danno dei
creditori. E le modifiche adottate in sede di revisione ministeriale del
testo elaborato dalla Commissione Rordorf, che hanno aggiunto requisiti
legati alla conservazione dei posti di lavoro, perpetuano un vecchio errore
della disciplina concorsuale italiana, già evidente nell'amministrazione
straordinaria, che fa di quest'ultimo requisito una condizione di
legittimità della proposta di ristrutturazione, a prescindere dalla concreta
situazione dell'impresa e del mercato in cui essa opera.
Ugualmente l'irrigidimento circa i tempi di soddisfazione dei creditori
privilegiati nel concordato con continuità aziendale rispetto all'amplia
flessibilità contenuta nel testo della Commissione Rordorf (irrigidimento in
controtendenza rispetto all'attuale art. 186 bis c. 2 lett. c. l.f., così
come correttamente interpretato da Cass. 18.6.2020, n. 11882) e la
riappropriazione per il giudice di un ruolo che vada oltre il mero controllo
del rispetto della legalità, appaiono tutti elementi che se non possono
essere definiti di controriforma, certamente vogliono spostare (in modo
antistorico) il focus del concordato preventivo da una dialettica
debitore-creditori ad un confronto debitore-tribunale che, come è noto, non
sarà solo il custode della legalità ma assurgerà anche a tutore degli
interessi economici dei creditori.
Sugli accordi di ristrutturazione il legislatore è intervenuto pesantemente,
quasi trasformandoli in una forma alternativa e semplificata di concordato,
tanto che nell'ipotesi di domanda con riserva diviene obbligatoria la nomina
del commissario giudiziale, anche se non vi è e non vi può essere
spossessamento del debitore. A questo proposito sarebbe opportuno che una
volta per tutte si chiarisse la natura di procedura concorsuale o meno
dell'accordo di ristrutturazione non tanto a sterili fini definitori, ma per
capire (se si ritiene che sia una procedura concorsuale) quali sarebbero le
norme sul concordato applicabili agli accordi e quali no.
La previsione di un procedimento unitario, sorta di contenitore processuale
unico che rappresenta lo strumento attraverso il quale passano sia le
proposte conservative che il solo debitore può proporre sia le proposte
liquidatorie, si è rivelata debole. E' del tutto evidente, ad un esame
appena più attento della disciplina, che i principi comuni sono pochi perché
nel primo caso non vi è contraddittorio tra i creditori ed il debitore,
mentre tale contraddittorio è imprescindibile nel secondo. La ragione del
procedimento unitario si rivela essere fondamentalmente l'esigenza di
comporre il conflitto tra la domanda di procedura liquidatoria avanzata dai
creditori e la domanda di procedura conservativa proposta dal debitore. Il
tema è indubbiamente rilevante, ma poteva essere risolto in forme più
semplici, anche soltanto immaginando il trasferimento dei giudizi connessi
avanti al giudice del COMI del debitore, anche in deroga alla competenza
territoriale.
3. A queste indubbie criticità del nuovo codice vanno contrapposte la
miglior scrittura della disciplina dei piani attestati, che per la prima
volta ricevono un'adeguata regolazione, degli accordi e del concordato
preventivo, dove istituti introdotti dalle varie novelle che si sono
succedute anno dopo anno a far tempo dal 2007, hanno finalmente trovato una
regolazione organica ed una miglior stesura delle norme. Per la prima volta
viene precisato il contenuto del piano.
Per la prima volta il legislatore ha inserito nell'ambito della disciplina
organica anche la regolazione del sovraindebitamento. Diviene chiara la
sorte del debitore civile, del professionista insolvente, dell'imprenditore
sotto soglia, delle start up e dell'imprenditore agricolo (che il
legislatore delegato, contravvenendo al chiaro disposto della legge delega e
all'elaborato della Commissione Rordorf continua a sottrarre – in modo
antistorico - alle procedure concorsuali previste per gli imprenditori
commerciali). Si introducono istituti di grande momento come l'esdebitazione
immediata dell'incapiente costituito anche in forma societaria di cui oggi
vi è gran necessità proprio in ragione della situazione di crisi
generalizzata e del sovraindebitamento famigliare. Su un fronte molto
diverso il codice detta per la prima volta (legge Prodi a parte) la
disciplina del gruppo insolvente, che sconta peraltro la scelta, a nostro
avviso discutibile, di limitare il perimetro delle imprese che partecipano
al concordato di gruppo a quelle sole che ne fanno domanda, con un evidente
contrasto rispetto all'amministrazione straordinaria. Sicuramente però
l'applicazione della disciplina dei vantaggi compensativi al gruppo
insolvente al fine di consentire a determinate condizioni trasferimenti di
attivi infragruppo, rappresenta uno dei tratti qualificanti della nuova
disciplina.
Ed ancora il legislatore ha inserito nella riforma organica, esclusa
l'amministrazione straordinaria per ragioni politiche che non possono che
essere oggetto di amara constatazione, le norme che riguardano il
coordinamento tra procedure concorsuali e misure cautelari penali.
Il legislatore ha trascurato la disciplina concorsuale internazionale. Poche
norme in tema di giurisdizione perpetuano, salvo per quanto riguarda
procedure transfrontaliere aperte nell'ambito dell'Unione Europea, una
visione universalistica delle procedure concorsuali che è stata abbandonata
quasi ovunque. Si è rinunciato, nonostante l'incipit della legge delega, ad
ogni richiamo o recepimento della Model law Uncitral in materia di
insolvenza transfrontaliera, lasciando il riconoscimento di procedure aperte
fuori dall'ambito U.E. alla sola inadeguata normativa interna di diritto
internazionale privato. Ciò nel momento in cui il Regno Unito cessa di far
parte della Unione. Mancano anche in gran parte le norme di attuazione del
Regolamento 848/2015 in materia di insolvenza transfrontaliera.
La Direttiva 2019/1023 del 20 giugno 2019, emanata subito dopo
l'approvazione del codice della crisi, e che dovrà essere recepita entro il
17 luglio 2021, ha posto al nostro legislatore ulteriori problemi.
L'impianto complessivo del codice della crisi è certamente compatibile con
la disciplina della Direttiva nelle sue linee fondamentali. Tuttavia molti
sono i punti in cui si renderebbe necessario un coordinamento delle norme
interne con i principi affermati dalla Direttiva. Senza entrare nel
dettaglio si può ricordare che la Direttiva prevede quanto al trattamento
dei creditori come regola di default quella della relative priority rule,
che consente di attribuire ai creditori di grado inferiore o postergati,
come i soci, un trattamento positivo, purchè non più favorevole di quello
previsto per la classe poziore. Il nostro codice segue invece, e si tratta
di principi generali che derivano dalla disciplina del codice civile,
l'opposta regola dell'absolute priority rule, che vieta di attribuire
alcunchè ai creditori di grado inferiore sino a quando i creditori poziori
non sono integralmente soddisfatti. La prima soluzione consente di
incentivare la partecipazione dei soci e dei creditori di grado inferiore o
postergati al concordato, perché in questo modo essi possono trarre
vantaggio dalla procedura. E' scelta peraltro fortemente avversata da parte
della giurisprudenza, che ha sempre interpretato l'art. 2740 c.c. in termini
molto rigidi.
E' evidente l'impatto della regola espressa dalla Direttiva sul nostro
sistema concorsuale.
Vi sono poi altri punti sui quali la Direttiva richiede una messa a punto
della disciplina del codice come per quanto concerne il voto dei creditori
nel concordato.
In generale per l'approvazione del piano la Direttiva prevede due soluzioni
alternative. Il piano di ristrutturazione è adottato dalle parti interessate
senza necessità di un'approvazione da parte del giudice (salvo i casi
espressamente indicati) purché in ciascuna classe sia ottenuta la
maggioranza dell'importo dei crediti o degli interessi, ferma restando la
facoltà per gli Stati membri di richiedere anche la maggioranza per teste
(art. 9). La maggioranza richiesta non può essere superiore al 75%
dell'importo dei crediti o degli interessi in ciascuna classe o, se del
caso, del numero di parti interessate. Poiché la Direttiva non impone una
maggioranza minima qualificata, se ne ricava che gli Stati membri sono
liberi di prevedere la maggioranza del 51% dei crediti, come avviene nel
sistema italiano.
In alternativa l'art. 11 regola la ristrutturazione trasversale dei crediti
(cross class cram down) che, non prevedendo la necessità dell'approvazione
da parte di tutte le classi, richiede l'approvazione del piano da parte del
giudice. In questo caso è sufficiente "la maggioranza delle classi di voto
di parti interessate, purché almeno una di esse sia una classe di creditori
garantiti o abbia rango superiore alla classe dei creditori non garantiti"
(art. 11, par. 1, lett. b) i). In alternativa il piano deve essere stato
approvato "da almeno una delle classi di voto di parti interessate o, se
previsto dal diritto nazionale, di parti che subiscono un pregiudizio" (art.
11, par. 1, lett. b) ii) purché non si tratti di classi di creditori o
portatori di strumenti di capitale che non riceverebbero nessun pagamento o
manterrebbero alcun interesse, se fosse applicato il normale grado di
priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale in base a una
valutazione del debitore in regime di continuità aziendale.
Tralasciando per il momento le ulteriori condizioni previste dagli artt. 9 –
11 della Direttiva va sottolineato che la disciplina prevista dal codice
della crisi è sensibilmente diversa. L'art. 109 stabilisce che il concordato
sia approvato dalla maggioranza dei crediti ammessi. Alla maggioranza per
valore si aggiunge quella per numero nel caso in cui un unico creditore sia
titolare di crediti in misura superiore alla maggioranza dei crediti ammessi
al voto. Occorre inoltre, nel caso in cui siano previste diverse classi di
creditori, che la maggioranza dei crediti ammessi al voto sia raggiunta nel
maggior numero di classi. Il sistema previsto dal codice della crisi prevede
la formazione obbligatoria di talune classi (art. 85, comma 5), ma, ove non
ricorrano le ipotesi considerate dalla norma (creditori previdenziali e
fiscali non integralmente soddisfatti, titolari di garanzie prestate da
terzi, creditori soddisfatti con utilità diverse dal denaro, creditori
proponenti il concordato e parti correlate) le classi non sono obbligatorie.
La Direttiva prevede invece che le classi siano obbligatorie, almeno nel
senso di distinguere i creditori garantiti e chirografari.
Ne deriva che il legislatore italiano dovrà modificare la disciplina del
codice della crisi e, comunque, che dalla scadenza del termine per il
recepimento della Direttiva, il quinto comma dell'art. 85 dovrà ritenersi
abrogato in parte qua per contrasto con la Direttiva. Dal luglio 2021
pertanto il concordato potrà ritenersi approvato soltanto quando la
maggioranza dei crediti sia raggiunta almeno nel maggior numero di classi.
Altre differenze riguardano la disciplina del cram down(3).
Sembra evidente che il codice della crisi richieda un'attenta revisione per
renderlo pienamente compatibile con la disciplina della Direttiva.
Quest'ultima diventa vincolante a far tempo dal 17 luglio 2021, anche se
l'art. 34, par. 2, prevede che gli Stati membri che incontrano particolari
difficoltà nell'attuazione della Direttiva hanno la possibilità di
beneficiare di una proroga al massimo di un anno, ma debbono notificare alla
Commissione la necessità di avvalersi della proroga entro il 17 gennaio
2021.
In questo momento in diversi Paesi europei si sta valutando l'opportunità
della proroga in considerazione della situazione di emergenza Covid e della
compatibilità della disciplina della Direttiva con le norme eccezionali, in
deroga alla disciplina ordinaria, che in molti Paesi sono state adottate.
E' indubbio che anche l'Italia deve porsi il problema ed eventualmente
notificare la decisione di avvalersi della proroga entro il 17 gennaio, che
è data molto vicina.
4. La data di entrata in vigore del codice della crisi è ancora lontana, ma
il lavoro da fare perché esso possa entrare in vigore è molto. Il Governo
dovrebbe emanare a breve, perché l'iter di approvazione è stato concluso con
il parere favorevole delle Commissioni parlamentari, il decreto correttivo
di diverse norme del Codice, che sarà emanato ai sensi della legge 8.3.2019
n. 20. Le modifiche che dovrebbero essere apportate sono in taluni casi
rilevanti, alcune condivisibili, altre meno, ma non rispondono ai dubbi ed
alle difficoltà che si sono enumerate.
Se vi può essere un generale consenso a posticipare la disciplina relativa
all'allerta (ma la Direttiva richiede comunque che vengano predisposti gli
early warning tools e la normativa generale sugli assetti societari e
imprenditoriali, che ha modificato il codice civile, è già in vigore – su di
essa interviene in modo non convincente anche il decreto correttivo) e ad
eventualmente ripensarla in forme più snelle ed efficaci, pare evidente che
possono essere migliorate in senso meno dirigistico le norme sul concordato
e gli accordi di ristrutturazione, possono essere semplificati taluni
adempimenti della liquidazione giudiziale, vanno migliorate le norme sulla
giurisdizione e sull'insolvenza transfrontaliera, è necessario coordinare la
normativa interna con i principi della Direttiva, si deve intervenire su
talune norme processuali ed in particolare sul procedimento unitario.
Vi è molto da fare, ma non ha senso rinunciare al codice della crisi. Esso
infatti, come si è cercato di dimostrare, pur in un quadro di luci ed ombre,
rappresenta un indubbio progresso rispetto all'attuale disciplina per la
miglior e più organica regolamentazione del concordato e degli accordi di
ristrutturazione, per la revisione della disciplina del sovraindebitamento,
per la previsione di una disciplina organica dei gruppi, per l'introduzione
di principi più snelli che tengono conto delle novità offerte dalla
tecnologia grazie al processo telematico ed alla posta certificata. E tutto
ciò ci aiuterà a meglio gestire le situazioni di crisi che la pandemia ha
determinato.
* * *
Note:
(1): Real Decreto Legislativo 1/2020, de 5 de mayo, por el que se aprueba el
texto refundido de la Ley Concursal (torna su).
(2): Italia Oggi del 22.9.2020 (torna su).
(3): Rinviamo qui a L. Panzani, Il preventive restructuring framework nella
Direttiva 2019/1023 del 20 giugno 2019 ed il codice della crisi. Assonanze e dissonanze, in Dirittobancario.it,
14 ottobre 2019 (torna su).
Nota: il contenuto del documento deve essere interpretato in relazione al periodo
in cui è stato redatto.
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