Crisi d'impresa: indicatori e indici dell'allerta alla base delle scelte strategiche aziendali
di Daniele Virgillito (dottore commercialista, dottore di ricerca in economia aziendale
e rappresentante di Confprofessioni Sicilia
Ottobre 2020
Pubblicato sul sito www.ipsoa.it in data 21 ottobre 2020.
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Il Consiglio dei Ministri ha approvato, nella seduta del 18 ottobre 2020, il
codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza recante disposizioni
integrative e correttive a norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 8
marzo 2019, n. 20, al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14.
Il decreto correttivo interviene efficacemente sull'art. 13 comma 1 a
partire dalla rubrica che da "Indicatori della crisi" diventa "Indicatori e
indici della crisi".
Indicatori e indici della crisi
L'articolo 13 non disciplina unicamente gli indicatori della crisi, cioè gli
squilibri di carattere reddituale patrimoniale o finanziario che rendono
plausibile l'insolvenza dell'impresa, ma anche gli elementi che, nel dare
evidenza del rapporto sussistente fra due o più quantità, rivelano tali
squilibri. Viene stabilito, nello specifico, che sono significativi gli
indici che misurano la "non sostenibilità", piuttosto che la
"sostenibilità", dell'effettivo indebitamento rispetto al cash flow generato
o generabile puntualizzando, inoltre, la necessaria evidenza
dell'inadeguatezza dei mezzi propri rispetto ai mezzi di terzi. In relazione
agli indici che mostrano la non sostenibilità del debito per almeno sei mesi
successivi viene aggiunta anche la locuzione "dell'assenza" di prospettive
di continuità aziendale per l'esercizio in corso, o qualora la durata
residua dell'esercizio al momento della valutazione sia inferiore a sei
mesi, nei successivi 6 mesi.
Governance dell'impresa e scelte strategiche
Gli indicatori dell'allerta che impongono di monitorare l'andamento
evolutivo dell'impresa, la solvibilità e la continuità aziendale, saranno
anche capaci di valutare le performance delle PMI in termini di
sostenibilità e adeguatezza degli assetti organizzativi nel post-Covid?
Lo scenario che la pandemia sta prospettando alle imprese pone al centro la
capacità di creazione del valore mettendo a dura prova l'efficacia delle
proprie strategie e la solidità del proprio modello di business. La
governance dell'impresa, anche in vista dello slittamento dell'entrata in
vigore del codice dell'allerta al 1° settembre 2021, è chiamata a mettere in
campo le più appropriate e tempestive soluzioni in termini di adeguati
assetti amministrativi e contabili tenendo in considerazione che gli
effetti, derivanti da erronee scelte strategiche, assumono, oggi, un peso
ben diverso da quello che avrebbero avuto in un contesto ordinario. La
concezione di tali assetti non dipende unicamente dal tipo di attività e
dalle dimensioni dell'impresa, ma è soprattutto correlata alle scelte
strategiche e al mutevole contesto in cui l'impresa si trova ad operare che,
definendo il quadro dei rischi a cui essa è esposta, richiede una
costruzione coerente dell'intero impianto organizzativo. In dottrina
prevale, infatti, il principio secondo cui la responsabilità degli
amministratori, nell'ipotesi di danni provocati da valutazioni discrezionali
di carattere organizzativo, dovrà essere accertata facendo capo alla
verifica dell'adeguatezza delle scelte compiute.
In effetti il Legislatore, con lungimiranza, nel Testo Unico in materia di
Società a Partecipazione Pubblica (D.lgs 19 agosto 2016, n. 175), all'art.6
comma 3 recita che: " [...] le società a controllo pubblico valutano
l'opportunità di integrare, in considerazione delle dimensioni e delle
caratteristiche organizzative nonché dell'attività svolta, gli strumenti di
governo societario con i seguenti: a) Regolamenti interni volti a garantire
la conformità dell'attività della società alle norme di tutela delle
concorrenza, [...], nonché alle norme di tutela della proprietà industriale o
intellettuale; b) un ufficio di controllo interno strutturato secondo
criteri di adeguatezza rispetto alla dimensione e alla complessità
dell'impresa sociale [...] che trasmette periodicamente all'organo di
controllo statutario relazioni sulla regolarità e l'efficienza della
gestione; c) codici di condotta propri, o adesione a codici di condotta
collettivi aventi a oggetto la disciplina dei comportamenti imprenditoriali
nei confronti di consumatori, [...] nonché altri portatori di legittimi
interessi [...]; d) programmi di responsabilità sociale d'impresa".
Analogamente il CCII all'art. 13 comma 3 invita "l'impresa che non ritiene
adeguati, in considerazione delle proprie caratteristiche, gli indici
dell'art. 13, comma 2" ad esplicitare "indici idonei a far ragionevolmente
presumere la sussistenza del proprio stato di crisi".
Soluzioni possibili
Una possibile soluzione per facilitare il giudizio, ex post, sulle scelte
della governance e, in generale, sulla misura delle performance dell'impresa
potrebbe, quindi, essere quella di ampliare la base informativa affiancando,
agli indicatori finanziari, indici qualitativi (KPIs) e di rischio (KRIs).
Gli organi di governo hanno, infatti, il compito di gestire l'azienda con
responsabilità e di creare una struttura di supervisione (assetto
organizzativo e contabile), atta a supportarne la capacità di generare
valore per gli stakeholder. Il fulcro dell'organizzazione è costituito dal
suo modello di business, che fa leva sui capitali in input, trasformati,
incrementati o deteriorati, attraverso le attività svolte nell'ambito della
gestione quotidiana dell'impresa. Gli outcomes (indici, indicatori e KPI)
misurano, pertanto, le conseguenze (positive o negative, interne ed esterne)
sui capitali, prodotte dalle scelte strategiche.
In questa direzione già il 25 gennaio 2017 è entrato in vigore il D. Lgs.
del 30 dicembre 2016, n. 254 che riguarda l'obbligo di comunicazione di
informazioni di carattere "non finanziario" per le imprese di grandi
dimensioni. Il Decreto prevede che anche tutte le PMI non sottoposte
all'obbligo possano presentare una dichiarazione di carattere non
finanziario in forma volontaria. Tale Decreto, introducendo l'obbligo per le
imprese di interesse pubblico dell'informativa non-finanziaria, ha coperto
alcune lacune divulgative riguardanti, ad esempio, i temi ambientali,
sociali, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva, utilizzo di
risorse energetiche e impiego di risorse idriche, emissioni di gas serra,
impatti su ambiente, salute e sicurezza.
Sebbene non vi sia alcuna imposizione normativa, in tale direzione anche per
le PMI, la pandemia ha posto l'accento sulla necessità di introdurre nuovi
strumenti che accompagnino l'analisi più prettamente tradizionale del
Bilancio. L'esame di molti fenomeni aziendali non ricade nell'ambito delle
informazioni "tradizionali" (gli intangibili auto-generati, il business
model, gli effetti di un comportamento "sostenibile"); ne deriva che la
misura della ricchezza generata, il comportamento delle imprese e gli
assetti organizzativi, sono rappresentati talvolta in modo solo parziale.
Il mainstream del "green deal" muove, invece, verso la "conceptual company"
dove gli intangibles diventano i principali drivers per la misurazione della
creazione di valore "sostenibile" nel tempo.
L'ampliamento della base informativa, in ossequio al rinnovato all'art. 13
del CCII, sebbene non sia normata da una best practice per l'ideazione di
KPIs (non potrebbe esserlo), nell'elaborazione dei ratios, i professionisti
devono preferire indicatori, tailor made, capaci di sintetizzare in modo
efficace le prospettive aziendali (going concern), evitando duplicazioni e
ridondanza di dati, che potrebbero paradossalmente ostacolare, anziché
favorire, la completezza e la chiarezza informativa.
Indici qualitativi (KPIs)...
Al di là degli indicatori che rappresentano soprattutto gli aspetti
tangibili dell'impresa, ben rappresentati dagli indici elaborati dal CNDCEC,
di seguito sono elencati alcuni KPIs, che assecondano le caratteristiche e
le competenze distintive dell'impresa completandone la rappresentazione
anche della componente relativa al capitale relazionale, umano,
intellettuale e strutturale.
Di seguito 5 esempi di KPIs per ogni categoria enunciata.
Capitale Relazionale:
- % delle offerte andate a buon fine/totale offerte emesse;
- Tasso di fidelizzazione;
- Incidenza insoluti sul totale crediti commerciali;
- Numero dei reclami pervenuti/anno;
- Livello di soddisfazione interna dei dipendenti.
Capitale Umano:
- Scolarità del personale;
- % del personale con un'istruzione di alto livello/personale certificato;
- Rapporto stipendio uomo-donna per categoria contrattuale;
- % di utilizzo delle risorse esterne;
- Indice di policompetenza.
Capitale Intellettuale e Strutturale:
- % degli investimenti in IT sul fatturato/vendite;
- % degli investimenti effettuati per il risparmio energetico;
- Numero e tipologia delle certificazioni;
- Consumo diretto di energia;
- Totale emissioni di CO2 equivalente.
...e di rischio (KRIs)
Interessanti da approfondire, in un momento di particolare fragilità delle
PMI, sono i Key Risks Indicators (KRIs) che riguardano:
- Verifiche sulla solvibilità dei nuovi clienti;
- Gestione del rischio reputazionale;
- Sistemi di gestione e controllo dei rischi ambientali;
- Rischio di perdita di know how per abbandono del personale;
- Livello di formalizzazione dei processi di business e delle procedure.
Considerazioni finali
In questo nuovo scenario, non più centrato meramente su valori finanziari e
partita doppia, ma sulla sostenibilità socio-ambientale, sugli intangibles e
sul capitale reputazionale, il professionista, grazie alla possibilità
concessa dall'art. 13 comma 3 di attestare l'utilizzo di "altri indici in
rapporto alle specificità dell'impresa", potrà trovare nuovi e decisivi
spazi di specializzazione e consulenza nell'elaborazione di KPI "non
financial" da costruire insieme alla governance dell'impresa anticipando le
possibili evoluzioni che il CCII prevedibilmente ancora subirà.
Nota: il contenuto del documento deve essere interpretato in relazione al periodo
in cui è stato redatto.
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